John Ronald Reuel Tolkien è uno dei pochi autori di letteratura fantasy che non è mai monotono e che ad ogni lettura dà nuove emozioni. Recentemente è uscito nelle librerie Lo Hobbit a fumetti che ripropone le vicende di Bilbo Baggins in un colorato sfondo di immagini suggestive. Sfogliandone le pagine ci si rende conto del potere che Tolkien esercita ancora sui lettori. Il testo, non sempre fedele all’originale, è accompagnato dalle illustrazioni di David Wenzel che riesce magistralmente ad esprimere il mondo di Tolkien con il suo tratto morbido e misterioso. La sua visione risulta, però, soggettiva, poiché ogni lettore ha nella sua mente un’immagine diversa, propria della visione personale che egli costruisce leggendo la storia. Il testo originale in inglese offre immediatamente un effetto particolare e trascinante che si può riscontrare nella lingua stessa, nell’uso di determinati vocaboli e di differenti e caratteristici idiomi che contraddistinguono le varie popolazioni della Terra di Mezzo. Dalle descrizioni del narratore i lettori creano nella propria mente un immaginario estremamente personale in cui si riconoscono e che risulta essere, quindi, molto utile per trarre dalla storia ciò di cui essi hanno bisogno in quel momento. Nel testo a fumetti gli oggetti, il paesaggio ed i personaggi, a volte non corrispondono alle descrizioni del narratore nel racconto; i stivali di Gandalf, ad esempio, non sono neri, come viene riferito nel racconto originale, ma grigi. Questo testo ha comunque importanti pregi, specialmente quello di avvicinare questo tipo di letteratura ai desideri dei lettori più giovani e di far conoscere questo autore ai bambini; un modo per avvicinare i più piccoli al mondo fatato ed erudito di Tolkien è la lettura ad alta voce da parte del genitore, primo destinatario che, attraverso la lettura appunto, interiorizza i messaggi espliciti e nascosti del racconto. Il grande difetto di questo testo a fumetti è, invece, quello di limitare e circoscrivere la fantasia e l’immaginazione del lettore, una caratteristica fondamentale per Tolkien in persona, arma potente attraverso la quale egli è arrivato alla creazione della sua Terra di Mezzo. “Per quanto possano essere di per sé apprezzabili, le illustrazioni giovano poco alle fiabe… Se una storia dice Salì sul colle e vide un fiume nella valle sottostante, l’illustratore può cogliere, o quasi, la propria visione della scena, ma chiunque ascolti queste parole avrà la sua propria visione, ed essa sarà composta di tutti i colli, fiumi e valli da lui visti prima di allora, ma specialmente del Colle, del Fiume e della Valle che furono per lui la prima incarnazione della parola” In effetti, quando il lettore si accinge alla lettura di un libro, si costruisce un mondo proprio che egli inizia a percepire dalle prime pagine del racconto. Porre delle illustrazioni nei libri, come spesso accade (in particolar modo nei libri di fiabe), toglie alla mente umana il diritto ed il piacere della fantasia. Per Tolkien la fantasia è l’elemento di partenza che inizia l’uomo alla creatività, alla bellezza e all’arte, è la facoltà che lo distingue dalla massa, in un mondo in cui egli rischia di perdere tutto ciò che lo rende unico, nel quale si lascia invischiare dalla spinta totalizzatrice della società moderna del progresso e della guerra. In questo contesto (scenario in cui vive Tolkien stesso) il suo sguardo è fisso sulle svanite certezze di un passato che non tornerà più e, allo stesso tempo, è diretto con ansia ed angoscia verso un futuro precario. Tolkien riesce a distinguersi dal resto delle persone che lo circondano e, attraverso l’esempio della sua vita, possiamo leggere ed imparare il percorso che lo ha portato a questa svolta, all’invenzione che è stata capace di influenzare il pensiero e la letteratura successiva in modo definitivo. La sua fantasia senza confini si arricchisce dei più variegati spunti e prende vita da un sincretismo di caratteristiche che provengono da fonti fra loro molto differenti: Beowulf, le due versioni dell’Edda di Snorri e il mondo delle fiabe, che egli utilizza per formulare i principi fondamentali sui quali si basa il suo innovativo modo di scrivere. La Fantasia, nel suo saggio On Fairy Stories, insieme alla Fuga, alla Consolazione ed al Recupero, è un elemento indispensabile per il raggiungimento dei propositi che una fiaba (o un racconto come The Hobbit) deve raggiungere. Quindi, niente illustrazioni. Per Tolkien il mondo delle fiabe non è un semplice spunto o una fonte da cui attingere informazioni utili e l’accostamento con The Hobbit non è affatto accidentale. Per molti aspetti egli mette in parallelo il suo modo di scrivere con questo genere di narrativa. The Hobbit è un racconto che si pone tra la fiaba ed il mito, nel quale Tolkien fa confluire tutto ciò che egli, con studi continui ed approfonditi, ha elaborato fino a quel momento della sua vita: la filologia, l’umorismo delle opere buffe, le leggende ed i personaggi immaginari, le lingue e gli idiomi da lui inventati. Egli trae esempi e idee da diversi generi di letteratura ma, in particolar modo, proprio dal mondo incantato della Faëria con le sue fate e i suoi Elfi e dalla mitologia nordica, con gli eroi e i mostri da sconfiggere. Ma la particolarità di questa storia è che, “inoltrandosi” nel racconto, l’attento lettore ad un certo punto non sa più qual è il confine che separa i due generi (la fiaba e il mito) poiché essi si compenetrano formando una meravigliosa narrativa, nuova e originale. Gli aspetti comuni, comunque, sono molti: al centro della storia c’è un eroe (qui rappresentato da Bilbo Baggins, lo Hobbit), ci sono prove da superare ed un tesoro da recuperare attraverso i dettami dell’antico schema medievale della quest. La ritualità è frequente ed ha un ruolo importante nel comportamento dei personaggi: Bilbo e Gandalf fumano la pipa solo in determinate situazioni per sottolineare precisi momenti della storia; il ruolo della musica assume particolari caratteristiche ed accompagna, evidenziandoli, i momenti cruciali del tema centrale dell’avventura iniziatica e della crescita di Bilbo. In The Hobbit gli elementi si mescolano trasformandolo in un racconto innovativo e geniale che, per Tolkien, rappresenta il punto di svolta del suo modo di scrivere, che coincide con un cambiamento anche nella sua vita. The Hobbit, pubblicato per la prima volta nel 1937, ha un ruolo importante perché si discosta dalle opere precedenti ed apre le porte al futuro verso una narrativa completamente diversa. I personaggi hanno nuove caratteristiche e non somigliano né al buffo protagonista di Farmer Giles of Ham né, tantomeno, a quelli presenti in The Silmarillion. Bilbo, in particolare, è un personaggio nuovo (come tutto il popolo degli Hobbit, pura invenzione di Tolkien), dotato di caratteristiche personali, che a volte lo avvicinano a Tolkien stesso. Egli, in una lettera, afferma di sentirsi molto simile a questi esseri viventi, in particolare, per il loro tranquillo stile di vita e per il modo di vestire. Bilbo è un antieroe e si discosta dai protagonisti della mitologia classica, i cavalieri armati pieni di orgoglio e di forza fisica. Attraverso questa nuova figura Tolkien rivela le sue infinite capacità immaginative e creative poiché unisce in questo personaggio il vecchio e il nuovo, la tradizione e l’innovazione. Questo racconto è il ponte tra il passato ed il futuro, tra il periodo delle opere buffe e del racconto mitologico e quello successivo di The Lord of the Rings; Bilbo stesso personifica il passaggio definitivo dai vecchi stereotipi di uomo all’uomo nuovo, capace di affrontare e risolvere le situazioni difficili con saggezza e coraggio ma, allo stesso tempo, inadeguato alla superficialità e alla paralisi del mondo moderno. Tolkien mantiene, comunque, elementi del passato come, ad esempio, il suo sottile umorismo e l’atmosfera magica, a volte disincantata, dei paesaggi e della figura del Drago in particolare. I mostri non hanno ancora le caratteristiche cupe e terrificanti che assumeranno successivamente in The Lord of the Rings e Gandalf non è un imponente stregone ma assomiglia di più a Merlino, intento a creare i suoi colorati anelli di fumo. In The Hobbit Bilbo e il Nano Thorin sembrano rendersi conto di essere personaggi che segnano il passaggio da una generazione ad un’altra, dimostrando quasi una venerazione per il passato e per i loro predecessori; nelle descrizioni che li riguardano, sono caratterizzati da doti particolari derivanti dalla loro appartenenza ad un determinato gruppo parentale e collocati con precisione nell’albero genealogico della famiglia. Bilbo è l’incarnazione dell’uomo che si chiude al mondo. All’inizio, nel suo microcosmo (rappresentato dalla Contea), egli non pensa né immagina cosa ci possa essere al di fuori di quello spazio limitato e vive in una situazione stazionaria in cui la sua personalità non si evolve ed egli rimane fermo nella quotidianità. Gandalf gli darà l’input per iniziare la sua avventura, un’esperienza importante e fondamentale per la sua crescita come uomo, come persona e nello spirito. The Hobbit è, quindi, un viaggio che mira alla crescita di Bilbo ma, nel corso della storia, si rivela anche un percorso di maturazione per altri personaggi. Nessun personaggio ha una storia o un significato a se stante ma tutti (anche quelli che ricoprono un ruolo marginale), alla fine del tragitto, subiscono un cambiamento che si fa evidente anche nella mutevolezza del paesaggio della Terra di Mezzo. Tolkien utilizza diversi punti di vista e, attraverso una narrativa molto vivace arricchita da tecniche intelligenti ed innovative, inserisce il protagonista Bilbo in una storia fantastica, immergendolo nel variegato scenario della Terra di Mezzo, creazione unica e spettacolare di un mondo a parte, il Mondo Secondario. Bilbo acquisisce una maggiore saggezza, furbizia, coraggio, stima di sé, fiducia e, soprattutto, scopre di avere la dote della prudenza. Questo nuovo elemento rende la narrativa di Tolkien diversa dalla mitologia, nella quale gli eroi erano istintivi e noncuranti del pericolo e dota lo Hobbit di un’intelligenza e di una capacità riflessiva diversa che lo rende un leader capace e responsabile. Bilbo acquista l’autonomia e la sua vittoria finale non è sugli altri, sul Drago o sugli Orchi, ma su se stesso, poiché egli cresce ed impara ad avere nuovi ed interessanti rapporti umani diventando, inoltre, più sicuro di sé. Egli ora sa cosa deve fare e, per questo, nell’ultimo capitolo, quando la sua avventura è finita, inizia a scrivere le sue memorie, cosciente del proprio cambiamento e dell’utilità e dell’importanza di raccontare le proprie esperienze. Tolkien stesso, al termine della stesura di questo racconto, sa qual è la direzione che deve seguire poiché ora ha trovato ciò che aveva cercato per lungo tempo, qualcosa in cui far confluire le sue interminabili ricerche filologiche e letterarie con la sua passione per le invenzioni linguistiche: un modo di esprimersi che riassume tutto ciò che egli ha creato con coerenza interna ed una ricchissima simbologia che lo dota di complessità e significato. Tutto questo avviene, per la prima volta, proprio con The Hobbit, il punto di partenza dal quale egli darà una svolta al suo futuro. Questo racconto affonda le sue radici, acquistandone in veridicità e profondità storica, nella precisa mitologia della Terra di Mezzo. Tolkien inventa un insieme di leggende e di storie per dare credito ed un solido fondamento al suo mondo mentre lo arricchisce di personaggi fantastici dotati, però, di caratteristiche reali nelle quali ogni lettore può riconoscersi. Questa tesi parte da informazioni generali su Tolkien e su The Hobbit ed arriva allo specifico analizzando ed approfondendo precisi argomenti e temi presenti nel racconto. Attraverso un percorso che porta dalla conoscenza dell’autore e delle tappe fondamentali della sua vita, alla conoscenza del personaggio principale, Bilbo Baggins, si fa un’analisi dettagliata del significato dell’opera e delle caratteristiche comportamentali dei personaggi. Il primo capitolo, intitolato John Ronald Reuel Tolkien, dà informazioni sulla vita dell’autore attraverso una breve biografia che lo inquadra nel suo specifico contesto storico e culturale. Da questo punto di vista, l’ambiente circostante è un elemento fondamentale e di primaria importanza per capire molte cose sul suo pensiero critico e sul suo modo di scrivere, in particolare sulla sua mania che lo spinge alla ricerca di una lingua perfetta e di un mondo alternativo. Tolkien definisce la sua opera come qualcosa di completamente estraneo alla letteratura d’evasione; egli crea un mondo nuovo, coerente, con una propria mitologia, che trova espressione in The Silmarillion, lunga epopea che inizia con la narrazione della creazione di Arda, il Mondo Secondario, ed arriva alla fine della Terza Era, l’Età degli Uomini. In questa invenzione Tolkien mostra la sua infinita fantasia creativa che egli utilizza non per scappare dalla realtà o per dimenticarla, ma, bensì, per ridarle la bellezza di un tempo attraverso una visione traslata ma reale del mondo in cui egli vive. Non bisogna confondere “l’Evasione del Prigioniero con la Fuga del Disertore” poiché l’Evasione, per Tolkien, è legata a sentimenti di rabbia, disgusto e rivolta verso l’Età dei Robot, l’età della bruttezza. Dopo aver analizzato le varie fonti e i modelli che Tolkien utilizza per trovare ispirazione per la sua creazione e i vari generi che costituiscono il suo innovativo stile narrativo, si passa alla descrizione di The Hobbit, della sua struttura, della sua collocazione nell’opera dell’autore e dei suoi personaggi, soffermandosi, in particolar modo, sul ruolo fondamentale che assume il simbolismo, elemento praticamente presente in ogni cosa e ad ogni livello di analisi. Nel secondo capitolo (La liminarità di The Hobbit) si entra nello specifico con l’analisi dettagliata del racconto da un punto di vista particolare, ponendo in risalto il tema del passaggio e del cambiamento, elementi presenti in ogni aspetto della storia. La particolare collocazione del racconto carica The Hobbit di un’importanza particolare e lo fa un “elemento-soglia” per quanto riguarda il cambiamento dello stile narrativo di Tolkien. Questa storia segna (finalmente) la svolta di Tolkien da un periodo della sua vita in cui egli è immerso negli studi filologici, nelle invenzioni linguistiche e mitologiche, dando inizio ad un nuovo modo di scrivere, in cui questo autore riesce a riversare tutto il suo lavoro con coerenza e creatività. Elementi e caratteristiche si compenetrano e rendono fondamentale, in questo mondo, il tema del passaggio da una condizione iniziale ad una diversa situazione, caratterizzato da una proprietà di scambio quasi osmotica in cui la trasformazione assume un ruolo principale. La Terra di Mezzo (si può inferire dal nome stesso) assume un ruolo fondamentale come prima rappresentazione della condizione di transizione da una precarietà iniziale che volge ad un cambiamento con il passaggio attraverso alcuni “elementi-soglia”, più o meno reali o materiali. Bilbo si trova in questa situazione, è l’immagine dell’uomo moderno, dello stesso Tolkien, nella sua fase di passaggio dal buio alla luce, dalla cecità alla vista, dall’immaturità alla crescita ed alla maturazione. Nel terzo capitolo l’analisi è sempre più specifica e punta all’interno del personaggio tramite l’osservazione del viaggio che Bilbo si trova ad affrontare, specchio del suo percorso che, come metafora della vita umana, riprende le caratteristiche della crescita del bambino verso l’età adulta, con un conseguente ampliamento della prospettiva e della visione mentale, da una ristrettezza propria dell’uomo inglese di campagna. La biografia come viaggio affronta, quindi, più da vicino, il cambiamento che avviene in Bilbo che si riflette nel mondo circostante, nel paesaggio e negli altri personaggi. Ripercorrendo la precedente letteratura di viaggio, dalla Navigatio Sancti Brendani a The Seafarer, si notano tutte le differenze e gli elementi comuni presenti in questo racconto e le ricorrenti e principali tematiche che caratterizzano l’avventura di Bilbo verso la trasformazione finale. Il viaggio finisce con il ritorno alla Contea, ultima fase della quest, che assume molta importanza poiché è indispensabile per il ristabilimento dell’ordine e per “chiudere il cerchio” della vicenda. Il quarto capitolo, infine, La memoria come metafora della maturazione, ci porta all’interno di Bilbo stesso, che, alla fine del viaggio, è cresciuto ed è più maturo. L’attenzione è rivolta ad un tema molto intimo, quello della memoria e del rapporto che i personaggi stringono con essa. Tolkien ritiene la memoria e l’importanza delle origini un punto di partenza obbligatorio e necessario per la costruzione di un futuro sereno. Senza una sincera presa di coscienza del proprio passato non si può affrontare la vita ed il presente poiché non si ha una percezione ed una conoscenza totale di se stessi. Rimanendo limitati al presente e al microcosmo che ognuno di noi si costruisce intorno, si preclude qualsiasi tipo di contatto umano e di situazione che possa portare ad un miglioramento. I personaggi di The Hobbit (in particolar modo Bilbo) si riappropriano del loro passato e, attraverso un viaggio iniziatico, si trasformano in persone nuove, dimostrando di avere delle doti che fino a quel momento erano bloccate dentro di loro per egoismo o presunzione. Accettando le proprie radici e lasciando spazio ai ricordi e alla memoria, Bilbo diventa una persona migliore e arriva a conoscere realmente se stesso e gli altri. La crescita di Bilbo è la crescita di Tolkien e riflette il sofferto adattamento dell’uomo moderno che si sente imprigionato in una società ostile ma che, grazie alle proprie capacità interiori ed alle doti personali che lo rendono unico e forte, riesce, anche se con fatica, a distinguersi dalla massa. Tolkien offre a tutti una possibilità in più tramite la creazione di mondi e lingue alternative, unendo caratteristiche proprie di diversi tipi di scrittura e di cultura, tra fiaba e mito, per trovare la verità nella realtà attraverso la capacità di espressione. The Hobbit non è un racconto diretto ad un pubblico infantile ma lettura in cui soprattutto gli adulti possono trovare l’esempio per vivere con coraggio nella contemporaneità attraverso l’amore per il passato, il rispetto per la natura e la forza di mettere in atto e sviluppare le capacità di esseri pensanti, sentimenti indispensabili per apprezzare se stessi e gli altri. Scarica la Tesi Completa [131 pag - 1,27 Mb]