Was it a dream?

La mattina non ero andata a scuola, e i compiti per la settimana successiva li avevo già fatti. Avevo pranzato con papà, prima di dirigermi sola alla pista di pattinaggio. Avevo i pattini sulla spalla, mi bastavano solo quelli, e il portafogli nella tasca dei pantaloni, assieme al cellulare. Il cardigan era molto pesante, e a volte non serviva la sciarpa, ma a Los Angeles era così, non sapevi che tempo avresti incontrato se non una volta fuori di casa.
A piedi raggiunsi l'enorme pista già affollata, a fianco venditori ambulanti di panini e cioccolate calde e cose varie, tappa indiscussa di ogni sabato pomeriggio e ogni qualvolta andavo lì. Pagai l'entrata, avrei fatto prima a prendere l'abbonamento, ma non esisteva. Peccato.
Calzai i pattini, mettendo gli stivali in un angolo del piccolo telone che faceva da mezzo spogliatoio. Arrivai alla pista muovendomi come se avessi alle calcagna il diavolo, non potevo aspettare di pattinare, dovevo sfogare la mia tensione. Perciò, con i piedi sul ghiaccio, iniziai a spingere, facendo un giro della pista. Misi le mani nelle tasche dei jeans, lasciando che fossero solo i piedi a guidarmi. Le mani servivano solo in caso di pattinaggio artistico, perché davano punti anche quei movimenti armonici.
Io non facevo quel genere di gare, non ne facevo proprio, e preferivo così.
Feci qualche giravolta, tanto per scaldare i muscoli, che non aspettavano altro di essere lasciati andare. Chiusi gli occhi, abbandonandomi al furore che quello sport scatenava in me.