Già nel primo Libro dell'Iliade l'anziano Nestore rimproverava i litigiosi Achei ricordando loro la forza degli eroi passati con cui essi non avrebbero potuto nemmeno confrontarsi. Il motivo della superiorità del passato rispetto al presente, o comunque del senso di decadenza e fallimento del presente rispetto alle epoche precedenti, è ricorrente in letteratura fin dalle origini. Tuttavia, nel Novecento esso assume nuove valenze e significati. Tolkien iniziò a vergare i racconti che avrebbero composto il suo legendarium nel 1916, mentre prestava servizio presso i Lancashire Fusiliers, durante la Grande Guerra. Il suo battaglione era impegnato sulla Somme e ciò gli diede occasione di osservare in prima persona il deprecabile e orrendo scenario che si profilava sul fronte della Francia settentrionale. Tolkien fu personalmente colpito dagli stenti della trincea e dagli orrori dei combattimenti, tanto da contrarre la 'febbre da trincea' (un morbo dovuto alle scarse condizioni igieniche) che gli impedì di continuare a combattere. Due dei suoi migliori amici caddero in battaglia contro i tedeschi. Altrove è stato ampiamente analizzato come l'esperienza del fronte si sia trasfigurata negli scritti di Tolkien persino nel Signore degli Anelli, ultimato più di trent'anni dopo il suo servizio militare. Uno degli esempi più evidenti è la raffigurazione delle Dead Marshes (le Morte Paludi) che delinea con una sconvolgente efficacia pittorica – riscontrabile solo in scrittori che hanno osservato personalmente simili scenari, come ad esempio Wilfred Owen – un paesaggio disseminato di cadaveri abbandonati ad una perenne putrefazione. Tuttavia, il riflesso della Prima Guerra Mondiale (e, in minor misura, della Seconda), non si limita ad efficaci descrizioni 'paesaggistiche' ma abbraccia tematiche di più ampio respiro. La Grande Guerra segnò profondamente la mentalità europea, provocando un generale senso di sfiducia nell'uomo e destando disillusione e repulsione nei confronti del progresso e della scienza, fino ad allora esaltati come panacea a tutti i mali del mondo, ma che ora si erano rivelati in tutta la loro forza distruttiva. È proprio dall'uso della tecnologia militare di cui era stato testimone che Tolkien deriva la sua avversione alla macchina, avversione non dissimile da quella prospettata da scrittori coevi ma di diverso stampo quali W.H.Auden o G.Orwell, i quali dipingono la tecnologia come strumento di alienazione o di oppressione e controllo sociale. La Guerra Mondiale segna, dunque, la fine del positivismo per lasciare spazio ad un generalizzato sentimento di decadenza e fine della civiltà, rappresenta il definitivo passaggio ad una contemporaneità vuota e mediocre: l'epoca degli “Hollow Men”. Da questo comune sentire nascono reazioni svariate e differenti, dall'eroismo distruttivo e autodistruttivo delle ideologie totalitarie (è emblematico lo slogan “Viva la muerte” nella Guerra Civile di Spagna) alla voglia di provocazione e rinnovamento delle avanguardie europee. Sono molti gli scrittori che denunciano la pochezza dell'animo umano, smascherandone la fragilità, la frammentazione e la meschinità, a partire da un precursore come Conrad per arrivare ai 'grandi' della modernità, come Eliot, Joyce, Beckett, Golding etc. Sono autori che scelgono la via della denuncia, spesso accostando con amara ironia la grande antichità classica alla sterilità moderna, come Joyce in Ulysses o Eliot in The Waste Land. Anche Tolkien è mosso dagli stessi sentimenti di frustrazione per l'epoca in cui vive ma alla via della denuncia preferisce quella del mito, optando per il recupero piuttosto che per la contrapposizione ironica con la realtà. L'intera opera di Tolkien è volta a riscoprire la dimensione leggendaria della creazione letteraria, riportando in vita il mito e i suoi valori intrinsechi proprio nell'era anti-eroica per eccellenza, dove tali valori paiono dimenticati. Tuttavia la creazione fantastica e mitologica non rappresenta una fuga dal XX secolo, bensì una decisa reazione. Allo sforzo di recupero mitologico fa da contrappeso un profondo senso di perdita che pervade tutto il legendarium tolkieniano, un anti-climax che delinea il lento e graduale tramonto dell'epos antico per lasciare spazio ad un mondo secolarizzato che, sebbene ancora carico di componenti fantastiche e 'cavalleresche', vede tuttavia estinguersi gli elementi magici, epici ma anche ludici e onirici, una realtà in cui è ormai perduto il contatto col divino, la memoria delle radici, il senso del mito, in cui domina la decadenza e in cui lo splendore delle civiltà antiche è un ricordo del passato. L'universo mitologico di Tolkien è, quindi, allo stesso tempo il 'luogo del mito' ma anche il 'luogo del mito perduto'. In questo senso il mondo tolkieniano è assimilabile al nostro, in quanto luogo mutilato dell'epicità e della grandezza eroica del passato, della memoria e della capacità di immaginare. Il presente lavoro è volto a mostrare ed analizzare proprio tale percorso di perdita nelle varie tappe della narrazione e della cosmologia tolkieniana. Il primo capitolo affronterà il problema della compilazione del legendarium di Tolkien che, come tutti i corpora mitologici presenta problemi di compattezza e congruenza. La stesura dei racconti ha, infatti, occupato circa 57 anni della vita dell'autore andando incontro a inevitabili quanto complessi cambiamenti. Si cercherà, pertanto, di comprendere se e fino a che punto si possa guardare al legendarium tolkieniano come a un'unità coerente passibile di uno studio critico lineare. Il secondo capitolo chiarirà alcune concezioni fondamentali della poetica di Tolkien e del suo modo di vedere e reinventare il mito. Innanzitutto verrà analizzato il rapporto tra filologia e mitopoiesi tenendo in particolare considerazione il ruolo che ha, per l'autore, l'invenzione linguistica nella genesi narrativa. Si vedranno, quindi, le motivazioni che spingono Tolkien a scrivere racconti mitologici e il valore artistico che questi riserva alla fiaba e al mito, in contrapposizione alla visione 'antropologica' di Andrew Lang. Si analizzerà, poi, il problema della simbologia nell'universo creato dall'autore cercando di capire fino a che punto sia possibile e auspicabile cercare simboli e allegorie nel legendarium tolkieniano. All'interno di questo problema si vaglieranno gli elementi cristiani presenti nei racconti, soppesando dove questi rappresentino letture forzate o siano, invece, componenti fondamentali dell'opera tolkieniana. Con il terzo capitolo ha inizio la fase centrale del lavoro, dove si procederà ad un'analisi comparativa di personaggi e vicende all'interno della silloge mitologica con particolare riferimento al Silmarillion. Si analizzeranno soprattutto due fondamentali categorie di personaggi: gli Elfi e gli Uomini, esaminando principalmente gli eventi relativi alle rispettive e parallele genesi. Successivamente si analizzeranno alcune vicende e protagonisti particolarmente rappresentativi della grande epicità primitiva. Nel capitolo successivo, il quarto, verrà seguito il percorso di perdita di tale epicità, con la graduale scomparsa degli Elfi e, congiuntamente, di ogni elemento che rappresenti la grandezza del mondo antico. Il risultato che ne scaturisce è un mondo tristemente mutato che, come il mondo contemporaneo, rimane monco delle grandi gesta, delle grandi civiltà e degli eroi delle ere antiche. Il quinto e ultimo capitolo, invece, si occuperà di un altro percorso di declino: quello del rapporto col mondo divino e trascendente. Dopo una breve analisi del sistema teologico nella cosmologia tolkieniana si prenderà in esame il continuo mutare delle relazioni fra la realtà umana e quella divina, cercando di individuare anche qui il motivo della perdita e del tramonto che collega il mondo mitologico di Tolkien alla percezione della modernità. L'appendice riassume in breve le complesse vicende che si sviluppano nel Silmarillion e ne è quindi consigliata una lettura propedeutica alla comprensione dell'intero lavoro. Scarica la Tesi Completa [119 pag - 586 Kb]