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Nome Gioco: Horcrux Rpg
URL:
https://horcruxrpg.forumcommunity.net
Categoria: Play by Forum
Genere: Harry Potter
Stato: Chiuso
Ambientazione:
24 aprile 1998.
Quella stanza dimenticata da tutti sapeva di nuovo. Stava là, falsamente abbandonata, all’ultimo piano di quella villa di Little Hangleton. La porta chiusa e il silenzio tombale che aleggiava per tutto il piano. A giudicare dalla tranquillità di quel posto, nessuno avrebbe mai potuto dire che si trattava del Covo di assassini maledetti che si divertivano ad incutere terrore. Nessuno avrebbe mai affermato che si trattasse della sede principale dei Mangiamorte. E quella stanza, messa lì quasi per bellezza, ne era l’esempio lampante. La grande porta di legno massiccio sormontava la parete sinistra, tutta ornata da una pittura scura e inquietante. Non si sentivano voci provenire da là dentro, nemmeno il più piccolo dei sussurri. Né un respiro, né una parola. Ma Bellatrix Lestrange si limitava a cullare ad un ritmo lento e trasportatore una culla in legno appena comprata. C’era un odore diverso, in quella stanza. Era l’odore della novità, l’odore della maternità. Si sentiva un aroma di fiori provenire dagli unguenti usati per lavare il piccolo, e un forte profumo di lavanda che apparteneva al piccolo peluche profumato tra le lenzuola del piccolo. Uno scenario alquanto sorprendente e innovativo, che nessuno avrebbe mai potuto anche lontanamente immaginare. Stonava con tutto, stonava con l’abbigliamento nero e sporco della donna, con quei suoi capelli ricci e quel sorriso, ora leggermente più addolcito, che le si era formato sul volto. Stonava con la sua voce rude e con le sue mani ossute, che erano state le carnefici di molti omicidi che lei stessa non avrebbe mai ricordato. Il piccolo si era ormai addormentato, schiavo dei suoi sogni e delle sue utopie: quello che sarebbe successo a distanza di anni, non era affar suo, e probabilmente non lo sarebbe mai stato. Proprio come tutti i suoi eredi, anche egli aveva un destino ormai segnato dalla maledizione di essere un Riddle. Sua madre, d’altronde, non poteva desiderare di meglio per l’unica creatura a cui voleva veramente bene sulla faccia di quella terra: il suo sguardo, colmo di pazzia ma anche di amore, adesso, si era posato sulla figura di quel pargolo in fasce che respirava regolarmente. Un tonfo la fece quasi sussultare. La porta si era appena aperta, e davanti a lei aveva fatto capolino una sagoma che ormai conosceva meglio del proprio riflesso nello specchio. Bellatrix non sapeva come fosse successo, come quella notte d’amore e di passione avesse potuto scaturire in un qualcosa di così grande per entrambi, ma era successo, e ormai non c’era modo per poter tornare indietro nel tempo. Nessuno avrebbe mai potuto cambiare il futuro che li prospettava: mai. C’era una cosa che la preoccupava, tuttavia. Una cosa che si può comprendere solo se si è madri, e Bellatrix ora lo era, ed una paura, comunque nascosta sotto quello strato di dura pelliccia, si stava espandendo dentro di lei. Cosa ne sarebbe stato di suo figlio, quando la battaglia sarebbe finita? Lo scontro era appena iniziato, e tra poco la lotta sarebbe stata cruenta ed inevitabile. Ma lei non poteva tirarsi indietro, c’era stata sempre per il Signore Oscuro, e ci sarebbe stata anche ora, a costo di perdere la sua stessa vita.
Tom Riddle non parlava. Appena era entrato si era limitato a fare un giro intorno alla culla per poi sedersi sul divano in pelle di fronte alla donna. Ora stava in silenzio, ma si potevano sentire borbottare i suoi pensieri. E non erano pensieri di pace e d’amore, no, per l’amor del cielo, lui pensava sempre ai suoi tornaconti personali, e dopo tutto quel tempo trascorso insieme, Bellatrix era convinta che il suo non fosse un cuore di ghiaccio, ma di pietra. Il ghiaccio prima o poi si scioglie, la pietra si frantuma, ma non si dissolve mai e poi mai. Lei voleva parlare, ma non sapeva da dove iniziare, e mettere in luce tutti i suoi dubbi lo avrebbe fatto arrabbiare. Quindi si limitò a fare quello che stava facendo prima. Fu la sua voce serpentesca a distrarla, per l’ennesima volta, in una frase gelida e antartica, che lei non avrebbe mai dimenticato, nemmeno nella sua tomba.
- Sono sicuro che la famiglia Malfoy saprà prendersi cura di Alastor. -
L’ultima traccia di vapore svanì nell’aria autunnale. Il treno svoltò. La mano di Harry era ancora alzata in segno di saluto. “Non avrà problemi” mormorò Ginny. Harry la guardò e distrattamente abbassò la mano a sfiorare la cicatrice a forma di saetta sulla fronte. “Lo so”. La cicatrice non gli faceva male da diciannove anni. Andava tutto bene.
Il peggio era ormai passato. Non c’era più niente e nessuno da combattere. Quegli anni trascorsi avevano riempito il mondo di pace e di tanto, forse troppo, amore. Nell’aria non echeggiava più quel terribile marchio di cui tutti avevano paura, e soprattutto non si sentiva più l’odore della paura. Qualunque mago, che fosse purosangue o nato babbano, poteva perfettamente uscire di casa senza il timore di essere torturato o peggio ancora ucciso. C’era calma e tranquillità, c’era affetto e c’era serenità, una specie di equilibrio che si era raggiunto con non pochi sforzi. Ora, nella sede di Grimmauld Place, Ron, Hermione ed Harry sedevano intorno al tavolo che anni prima era stato testimone di battibecchi e di cene natalizie. I tre amici non avevano mai smesso di vedersi da quando si erano sposati, bensì la loro amicizia si era fatta più salda di prima. Ron sgranocchiava qualche gelatina tutti i gusti + 1, Harry leggeva con un sorriso sulle labbra la gazzetta del Profeta. Di sopra, i bambini giocavano insieme a Ginny che aveva concesso loro qualche minuto per discutere in santa pace. Hermione sistemava distrattamente una pila di libri, ordinando il tutto in ordine alfabetico. Erano felici di essere nuovamente insieme, di aver costruito quella famiglia. Ron smise per un attimo di ingozzarsi e guardò il suo migliore amico, leggermente confuso. « Quindi tu dici che dovremmo fondare nuovamente l’Ordine? » nonostante ormai fosse decisamente cambiato, e i capelli color pel di carota si fossero sbiaditi, la voce di Ron era sempre la stessa, proprio come la prima volta in cui si erano incontrati. Harry, con i suoi soliti occhiali rotondi e gli occhi celesti messi in risalto dalla sua barba brizzolata, posò il giornale sul tavolo e scrollò le spalle. « Sì, per sicurezza. Qualche ronda notturna e qualche supervisione a Little Hangleton, giusto per essere sicuri » nonostante avesse sessantaquattro anni, Harry Potter non era uno scellerato che non sapeva fare il suo lavoro, bensì era ancora un Auror stimato e competente. Far ritornare l’Ordine, per lui era una forma di protezione che si poteva regalare ai cittadini senza che questi venissero intaccati in alcun modo, alla fine era un’organizzazione segreta. Entrambi gli uomini si voltarono verso un Hermione Granger indaffarata nella sua attività. Pochi secondi e lei si voltò, con un sorriso stampato sulle labbra.
L’Ordine era tornato, e stavolta non avrebbe dovuto sconfiggere nessuno. O almeno così si pensava.
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Alastor Bjorn Riddle in Malfoy. Sublime. Quel fagotto, figlio dell’amore proibito di Bellatrix Lestrange e Tom Riddle, era stato nascosto da tutti sotto un cognome famoso e potente, in grado di poter mettere a tacere ogni qualsiasi tipo di domanda indiscreta. I Malfoy erano sempre stati servi della Magia Oscura, ancora meglio del Signore Oscuro stesso, lo avevano servito con fedeltà, ed erano stati per lui un pilastro su cui poter sempre contare. Ovviamente non si erano tirati indietro quando quest’ultimo, pochi giorni prima della sua morte, aveva chiesto a Lucius di poter prendersi cura di suo figlio e di allevarlo come se fosse suo. Lucius, frastornato e leggermente confuso, aveva annuito distrattamente, percependo un tono di preoccupazione nella voce di Bellatrix Lestrange, sua cognata, quando questa gli aveva domandato di prendersene cura in modo opportuno. Quando poi era venuto a conoscenza degli avvenimenti, aveva sgranato gli occhi e aveva comprato pannolini e creme magiche per quel piccolo di cui, per ora, conosceva solamente il nome. Alastor era cresciuto da solo, fatto passare per figlio di Lucius e Narcissa. Non gli era mai mancato niente, grazie all’ingente conto in banca che sua madre aveva lasciato per lui alla Gringott. Nessuno gli fece mai mancare niente, frequentò la scuola di Magia e di Stregoneria di Hogwarts come tutti gli altri studenti e, una volta conclusi gli studi, aveva raccolti le sue cose e, con un sorriso sghembo sulle labbra, aveva ringraziato coloro che avevano sostituito i suoi genitori per diciotto anni e si era dileguato nel nulla. Nessuno aveva più avuto notizie di lui. che fosse una testa calda, era risaputo, che fosse uno dei maghi più potenti del mondo, anche. Aveva ereditato la forza di sua madre e la freddezza di suo padre, era un misto di emozioni negative e positive al contempo che potevano essere un aiuto, come potevano essere una minaccia. Lui era frutto del male che si era unito, frutto di ciò che doveva scomparire e che invece era rimasto ancorato alla vita di tutti quanti, come una macchia indelebile sulla tua maglietta preferita. Alastor, in realtà, era consapevole di essere ciò che aveva sempre desiderato. Un uomo con una miriade di donne al suo seguito, che otteneva tutto ciò che voleva schioccando le dita, che viveva alla giornata, senza preoccuparsi per il futuro. La sua mente era subdola e calcolatrice, e lui non si era mai preoccupato di essere come suo padre. Non ci avrebbe mai pensato. Tutta quella pressione, Alastor non l’avrebbe decisamente sopportata. Sarebbe stato ricordato un giorno, per la sua grandezza e le sue potenzialità, ma non si sarebbe sporcato le mani, almeno non da solo. Visse la maggior parte dei suoi anni nell’ombra, evitando di farsi vedere persino da chi l’aveva cresciuto, e mantenendo qualche contatto solamente con Draco. Fu qualche anno dopo che le cose iniziarono a cambiare, quando un evento gli scombussolò interamente la vita, un evento che, tuttavia, gli aveva spianato la strada per il futuro…
2 agosto 2022.
Quella ragazza pareva non voler dare informazioni su di sé. Stava sdraiata, con gli occhi chiusi, facendo finta di dormire: Alastor poteva sentire il suo respiro e soprattutto la confusione della sua testa. Quella sera si era divertito come non era successo fino ad allora: si era fatto trascinare da alcuni amici incontrati a Londra, in un locale della periferia. Una discoteca, già, era così che l’avevano chiamata. Lui pensava che si sarebbe annoiato a morte, invece era riuscito a ridere e a scherzare con quei tizi per tutta la serata. almeno fino a quando non aveva visto lei. Lei, con il suo viso angelico e le sue movenze raffinate che lo avevano catturato dal primo momento in cui i suoi occhi intensi si erano fermati contro la sua figura femminile e sensuale. Alastor aveva conosciuto molte donne in vita sua, eppure mai nessuno era riuscito ad ammaliarlo come aveva fatto lei con un solo movimento. Delicata, elegante, pur indossando un semplice abito in stoffa blu notte; il suo colore preferito. Sorrideva insieme alle sue amiche e si lasciava trasportare dalla musica che pompava nelle casse, fino a poter stordire. Un bicchiere in mano mezzo pieno, i lunghi capelli corvini che le scendevano fluidi sulle spalle. Sembrava una Dea scesa dall’Olimpo solamente per poterlo sedurre e poi abbandonare al suo destino. E lui era così che faceva: si faceva usare, senza nessun problema, perché lui era una marionetta nelle mani del destino, meglio ancora se questo vestiva elegante e aveva un sorriso beffardo in volto. Non ci mise poi molto per conoscerla, grazie alla sua esperienza in fatto di donne, Alastor riuscì a parlarci quasi subito. Parlare con lei, tuttavia, non era così facile come bere un bicchier d’acqua. Lei era evasiva su se stessa, come se nascondesse qualcosa, come se la sua vita fosse stata da sempre un gioco a chi fugge per prima. Era riuscita tuttavia a cadere nella trappola di quell’uomo così misterioso, che racchiudeva il mare e il cielo nei suoi occhi, quell’uomo che aveva il male insito dentro di sé, nonostante fosse troppo orgoglioso per poter ammettere che quella situazione lo stringeva in un cerchio che prima o poi avrebbe dovuto affrontare. Passarono la notte insieme, condivisero le lenzuola, ma c’era qualcosa in più rispetto alle altre volte. Non era solo sesso, almeno non per lui. Non si trattava di divertirsi dopo aver alzato un po’ troppo il gomito, non si trattava di mandare a puttane il corteggiamento di un’intera serata. Le carezze e le carinerie, quelle che di solito mancavano ad Alastor, furono invece il fulcro principale di quell’incontro che lo aveva resto così soddisfatto e fiero di se stesso per essersi concesso l’incontro con quella donna. Lei aprì gli occhi, mentre lui la fissava nella quiete di quella mattina. Dalla finestra filtravano i raggi solari di prima mattina, e da fuori si sentiva il cinguettare degli uccelli che rimbombava nella stanza vuota.
« Katlyn. Mi chiamo Katlyn. » sembrava aver quasi letto nella sua mente, e Alastor sorrise quasi ghignando. Alla fine qualcosa da lei l’aveva ottenuta, no? Ora voleva sapere le sue origini, da dove veniva, che cosa faceva nella vita, quanti anni aveva, chi erano i suoi genitori. A lui non importava che fosse una babbana o meno, alla fine aveva deciso di accantonare la sua vita nel mondo magico da quando era scappato dalla casa dei Malfoy. Anche lui aveva tanti segreti, e li avrebbe volentieri raccontati a quella ragazza così bella, con quel viso così angelico che l’aveva incantato sino a fargli perdere la testa. Era presto per parlare d’innamoramento, ma non troppo tardi per parlare d’infatuazione. « Chi sei, tu? E cosa mi hai fatto? » chiese, serafico. Lui sapeva cos’era successo, l’aveva stregato con la sua bellezza e la sua eleganza, niente di più, niente di meno. Gli occhi celeste intenso di lei, con tutte quelle sfaccettature e sfumature di grigio, si infilarono prepotentemente in quelli di lui. Un sorriso e furono uniti per l’eternità.
11 Maggio 2023.
Il tempo non passa inosservato. Scorre a ritmi più o meno frenetici, ma scorre, nonostante tutto. E il suo passaggio lo si vedeva negli alberi che erano tornati in fiore, nelle strade che si erano liberate dall’accumulo di foglie secche che aveva lasciato l’autunno, così come della neve che era stata spazzata via dopo il lungo e freddo inverno; lo si sentiva nell’aria che era tornata a profumare di fiori, lo si sentiva sulla pelle che aveva ripreso a scaldarsi sotto i raggi fievoli del sole, che per troppo tempo si era celato dietro la coltre di nubi nel cielo londinese. Erano passati nove mesi, 283 giorni, da quando quella sera d’estate, gli occhi blu cobalto di Alastor Riddle si persero dentro quelli celesti come i celi più sereni e le acque più limpide di Katlyn. E così come quelle due tonalità di blu - così diverse ma al contempo affini – si mescolarono tra di loro, divenendo un tutt’uno, così fecero i loro corpi, le loro anime, e di conseguenza le loro vite. Nove mesi erano tanti, eppure mancava ancora qualcosa a quel rapporto che si era venuto ad instaurare, forse per caso o forse no. La giovane e bellissima donna era circondata da un’aura di mistero che non l’abbandonava mai, e che in quei mesi non aveva mai accennato ad affievolirsi, nemmeno sotto le domande e i toni curiosi di Alastor. All’inizio era stato affascinante, sotto certi aspetti divertente, ma con il passare del tempo tutto quel mistero aveva iniziato a pesare, e ad insinuarsi tra i due come un ostacolo, un muro che sembrava impossibile buttar giù. E allora crescevano le domande, cresceva la diffidenza di Alastor, così come cresceva l’ostilità di Katlyn e, insieme ad essa, il proprio grembo, che celava il frutto di quella notte di passione che li aveva uniti. Un figlio non era ciò che la donna si era aspettata di ottenere da quell’incontro, ancora così giovane, fin troppo forse, per decidere di mettere da parte tutto e prendersi cura di quel pargoletto che si era portata dentro di sé per nove lunghi mesi. Eppure l’istinto materno è un qualcosa di così naturale, candido e forte da poter decidere di spezzare, una cosa impensabile, un piccolo dramma. Eppure lei lo fece, facendola sembrare la cosa più facile di questo mondo. In quel giorno di Maggio, mentre una brezza leggera di vento smuoveva i rami degli alberi, e le foglie frusciavano tra di loro producendo un suono armonioso e rilassante, partorì quel bambino, suo figlio, colui che non aveva colpe ma che nonostante tutto sarebbe stato l’unico a pagare. Il sangue del suo sangue, che la guardava incantato con quegli occhi glaciali che ricordavano tanto quelli della madre e del padre; erano colorati di un blu acceso e intenso, una tonalità mai vista prima, che era solo sua e che era nata con lui, quel giorno.
Alastor stringeva tra le braccia un fagotto bianco, che non si vedeva perché ben nascosto sotto la copertina di cotone blu – come il vestito che indossava Katlyn quella sera -, ma che si faceva ben sentire: gridando e piangendo a squarciagola. Mentre camminava, con passo deciso e svelto, il padre cercava di cullarlo per cercare di placare la sua disperazione, che ovviamente non passò così facilmente. Tutto ciò di cui aveva bisogno il bambino era la sua mamma, solo lei avrebbe potuto mettere fine alle sue pene, ma lei non c’era e non ci sarebbe stata mai più, non per lui almeno. I due, il padre e il figlio, erano diretti verso Malfoy Manor; la lussuosa villa si ergeva a Little Hangleton, in mezzo ad altre mille uguali, vicino a quella dei parenti Black. Alastor non avrebbe potuto prendersi cura di Corey – così avevano chiamato il piccolo appena nato – ma conosceva qualcuno che sapeva, lo avrebbe fatto nel migliore dei modi, proprio come avevano fatto con lui, come se fosse stato figlio loro. Varcò la soglia di casa, quella casa che conosceva meglio delle proprie tasche, e si diresse senza bisogno di accompagnatori nella sala principale, dove ad aspettarlo vi sarebbero stati Scorpius Malfoy e Andromeda Lestrange. Quando i due videro entrare Alastor, un’espressione di meraviglia e stupore si dipinse sui loro volti, non perché non si aspettassero una sua visita, lui si era preoccupato di avvertirli con un gufo, il loro stupore era dovuto al fatto che egli non fosse da solo, ma che tenesse tra le braccia un bambino, suo figlio. « Scorpius, come avrai immaginato questa non è una visita di cortesia. Sono qui per farvi conoscere Corey, mio figlio. E chiedervi di prenderlo come se fosse vostro figlio, proprio come tuo nonno Lucius fece con me. La vostra è una famiglia importante e io sono sicuro che saprete prendervi cura di lui nel modo migliore, molto meglio di quanto non riuscirei a farei io ». Pronunciò quelle parole con una naturalezza tale da lasciare letteralmente sconvolti il giovane Malfoy e sua moglie, che si scambiarono un'occhiata incredula e preoccupata. Alastor mise il bambino tra le braccia di Andromeda, che lo accolse con dolcezza e con un sorriso limpido e sincero, uno di quei sorrisi che solo un innocente neonato può scaturire, poi si smaterializzò senza lasciargli il tempo di rispondere. Adesso il destino di quel bambino era nelle loro mani.
● ● ●
Corey crebbe insieme a coloro che credeva essere la sua famiglia: i Malfoy. D’altronde non era la prima volta che un Riddle veniva accolto in casa come un figlio. Tanti anni prima anche suo padre, Alastor, venne abbandonato tra le braccia di Lucius, che si prese cura di lui come se fosse stato suo figlio. Strane le sorti del destino, dopotutto. Eppure quando il giovane Riddle lasciò, quel giorno, il piccolo Corey in una casa che ovviamente non era la sua, non lasciò tutto al caso, come diede a credere. Nella sua testa già vacillava un’idea, malsana e contorta. Alastor non era mai stato interessato a riscattare il nome di suo padre, nonché il famigerato Lord Voldemort, uno dei maghi più potenti e oscuri nella storia del Mondo Magico; ciò che gli interessava ottenere era il potere, senza però sporcarsi le mani, lui voleva tutto e subito, voleva trovare un modo per avere ciò che secondo lui gli spettava di diritto, senza però sforzarsi per ottenerlo, semplicemente trovare qualcuno che lo facesse al posto suo. E allora ecco, colui che gli avrebbe fatto da marionetta, qualcuno da orchestrare e dirigere a proprio piacimento: suo figlio. Erano passati quattordici anni, e almeno secondo lui, quello era il momento giusto per agire, il momento di scagliare la pietra e nascondere la mano, aspettando che fosse qualcun altro a prendersi le colpe, mentre lui si sarebbe preso solo quello che voleva, il potere. Spedì un gufo a Corey, dicendogli che l’avrebbe incontrato nella Foresta Proibita, perché dovevano parlare di alcune “questioni importanti”.
Alastor era appoggiato con la schiena al contro di un albero, con lo sguardo fisso davanti a sé, ad attendere. Qualche minuto dopo fece capolino tra le fronde degli alberi una figura di un ragazzo: era magro e molto alto, con i capelli corvini e la carnagione molto chiara, ma ciò che più di tutto il resto lo colpì furono i suoi occhi: blu, glaciali. Si rivide moltissimo in lui, tanto che gli parve di vedere se stesso riflesso in uno specchio, un se stesso con qualche anno di meno; ma nella figura esile del ragazzo rivide anche colei che quattordici anni prima gli si era insinuata nel cuore e nella mente: Katlyn. Da lei sembrava aver ereditato quell’aura di mistero che si portava sempre dietro, e in seguito scoprì che anche la freddezza che aveva riscontrato nei dolci tratti del suo viso, sembrava essersi insinuata in lui. Il tempo era poco, e Alastor non si trovava lì per perdersi in smancerie. Gli sorrise, certo, ma fu un sorriso di circostanza. Spiegò lui quale sarebbe stato il suo dovere, il suo compito: reclutare seguaci e dare vita all’Ordine dei Mangiamorte, per la seconda volta nella storia.
« Il mondo magico dipende da te, ricorda che sei il nipote di Tom Riddle » concluse, prima di sparire di nuovo proprio come fece l’ultima volta. Sapeva che suo figlio non l’avrebbe deluso, ed era convinto di averlo ormai in pugno.
Corey non se lo fece ripetere due volte, e si buttò a capofitto in quella missione suicida: contattò i vecchi Mangiamorte, contattò i loro figli e arrivò anche a far evadere alcuni di loro dalla prigione di massima sicurezza dei maghi: Azkaban. Non passò molto tempo prima che quel gruppo di persone tornasse ad essere un vero e proprio esercito del male. Il terrore e le uccisioni dilagarono per tutto il paese, espandendosi a macchia d’olio.
Il telegiornale babbano trasmetteva attraverso il rumore frammentato di un vecchio televisore le notizie del giorno. Notizie per niente buone, notizie drammatiche, terrificanti, notizie che facevano accapponare la pelle alle centinaia di persone che sedute nei propri salotti, sorseggiando il proprio the o consumando con occhi sgranati e disattenti le proprie cene seguivano le parole del giornalista. Morti, esplosioni senza una vero e proprio movente attribuite a terroristi o malati mentali, attentati tragici a potenti figure politiche. A loro sembrava la fine del mondo, predestinata e scritta nei loro testi sacri o lette in qualche loro rivista mediocre mentre agli occhi di maghi e streghe tutto ciò non faceva altro che rimandarli ad una vecchia ma mai dimenticata storia. La storia di un grande Signore Oscuro e del Bambino sopravvissuto. Una storia usata oramai come favola e leggenda, per far addormentare i bambini in pace rassicurandoli su come il bene vinca sempre. Sempre e comunque. Eppure i loro sguardi man mano che passavano i giorni si facevano sempre più preoccupati e come i babbani vivevano morti. Morti di Auror e membri importanti dell’Ordine della Fenice che scuotevano il popolo magico e li faceva parlare dell’ascesa di una nuova presenza misteriosa ed oscura. E della mancanza di qualcuno pronto a combatterla.
Dall’altra parte, immerso in quell’ombra di caos e distruzione, Corey Riddle in Malfoy chiamava a sé alcuni tra i più grandi maghi e più fedeli Mangiamorte. Fughe da Azkaban e non solo, dalle carceri di massima sicurezza di tutto il mondo magico in ogni angolo del mondo. Stavano tornando, forse più forti di prima, più spietati, più crudeli. A nessuno di loro importava combattere per qualcosa, nessuno di loro aveva un obbiettivo. Si tratta solo di uomini che amano veder bruciare il mondo.
« Vedi, Corey, ho capito che nella vita ci sono cose troppo importanti di cui non puoi fare a meno: sorrisi, baci, sesso, alcool, potere. » Alastor fece il giro del tavolo fino a fermarsi proprio davanti a suo figlio. « La vita stessa. E io ho deciso che non ci voglio rinunciare: voglio continuare a vivere fino a quando o sentirò necessario, fino a quando avrò vissuto tutte le mie esperienze. Quando sei nato, pensavo che saresti stato un peso per me. Ora invece, ho capito che sei un'immensa risorsa di cui non posso proprio fare a meno » gli diede una pacca sulla spalle e poi sorrise, quel sorriso così simile a quello di Corey e che conosceva molto bene: era un sorriso di vittoria. « Voglio che tu sappia i miei progetti, perché sei mio figlio: ho frammentato la mia anima, come tanto tempo fa fece tuo nonno e sono sicuro che tu potrai capire la mia posizione e la mia scelta. Si tratta di portare a termine quello che iniziò mio padre: pulire il mondo magico dalla sporcizia che vi alberga. Vuoi lottare per me, Corey? »
Era importante combattere e ancora combattere, e continuare a combattere, perché solo così il male poteva essere tenuto a bada, anche se non poteva mai essere completamente sradicato. E tu? Tu, da che parte stai?
Data Pubblicazione: 12/05/2015
Ultimo Aggiornamento: 27/04/2018
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